Argimusco: le Pietre tra Cielo e Terra
Non siamo nel famoso arcipelago dei megaliti ai confini settentrionali dell’Europa, bensì al centro del Mediterraneo, nell’isola di Sicilia, la terra crocevia di civiltà e conquistatori, dove tutto iniziò con i mitici Giganti.
Numerose leggende raccontano di giganti in terra siciliana, storie mitiche che hanno radici molto profonde e iniziano con Polifemo, il ciclope che venne sconfitto con l’inganno da Ulisse e che viveva sull’isola insieme ai suoi sei fratelli. Il mito preomerico dei Ciclopi si ritrova in numerose storie e tradizioni folkloristiche; inoltre era già opinione del filosofo Empedocle che nelle caverne presso le coste della Sicilia esistessero testimonianze sicure di una stirpe estinta di giganti.
Anche oggi, salendo sull’altopiano dell’Argimusco, a circa 1200 metri di altezza, è difficile non pensare alla mano di uomini ciclopici guardando le enormi rocce presenti nell’area. Ma spesso sono le suggestioni e l’entusiasmo a prendere il sopravvento, ed il visitatore che ammira le ‘Rocche dell’Argimusco’, restando a bocca aperta, viene subito assalito dal grande desiderio di conoscere la vera storia di questo luogo senza tempo.
L’area delle cosiddette Rocche dell’Argimusco sembra essere uno di quei luoghi dove le potenti forze della Natura si concentrano per creare un’atmosfera così magica ed ancestrale da far quasi dimenticare di stare sulla mortale Terra e di assaporare invece la sublimità dei campi elisi.
L’Argimusco si trova al centro del territorio abacenino, laddove
l’asprezza dei Peloritani lascia
spazio alla dolcezza dei Nebrodi.
Ci troviamo in provincia di Messina, nell’isola di Sicilia, in Italia. Situate nei pressi del
borgo di Montalbano Elicona e della Riserva Naturale del Bosco di
Malabotta, le Rocche dell’Argimusco rappresentano un luogo di rara bellezza, in questo sito naturalistico infatti regnano
incontrastate rocce millenarie avvolte da un
silenzio che è spezzato solo dai suoni degli armenti e dall’ululato del vento.
Ed è proprio l’azione
degli agenti atmosferici, principalmente vento e acqua, che ha modellato le enormi rocce, creando pietre dalle particolari figure
antropomorfe e zoomorfe. In seguito l’uomo scoprì questo luogo senza tempo,
iniziando a frequentarlo, a contemplarlo e a utilizzarlo. Tra gli svariati
motivi di utilizzo, uno tra tutti acquisì ben presto primaria importanza: l’osservazione del cielo. Così
le gigantesche rocce e l’intero paesaggio furono scelti per praticare
l’astronomia, per osservare i movimenti degli astri, giungendo a scoprire
l’alternarsi delle stagioni e fissare le basi per un pratico e
utile calendario. Ciò è accaduto migliaia di anni fa in diversi luoghi
della Terra; e sembra che ciò sia avvenuto anche all’Argimusco, un
pianoro dove si svolgevano riti
sacri, dove la terra si unisce al cielo formando il paesaggio sacro per eccellenza.
Questo luogo atavico ben presto diventò un osservatorio astronomico naturale, e molte delle pietre in esso presenti furono lavorate per fini precisi. E così ancora una volta la Sicilia, terra di popoli e viaggiatori, e straordinario contenitore di tradizioni provenienti da civiltà diverse, sembra possedere anche un sito archeoastronomico molto importante. Un luogo che da molti, erroneamente, viene spesso definito la ‘Stonehenge siciliana’. Se volessimo fare un paragone sarebbe infatti meglio definirlo la Marcahuasi di Sicilia.
Questo luogo atavico ben presto diventò un osservatorio astronomico naturale, e molte delle pietre in esso presenti furono lavorate per fini precisi. E così ancora una volta la Sicilia, terra di popoli e viaggiatori, e straordinario contenitore di tradizioni provenienti da civiltà diverse, sembra possedere anche un sito archeoastronomico molto importante. Un luogo che da molti, erroneamente, viene spesso definito la ‘Stonehenge siciliana’. Se volessimo fare un paragone sarebbe infatti meglio definirlo la Marcahuasi di Sicilia.
Sull’altipiano dell’Argimusco non è mai stato compiuto alcuno scavo archeologico ufficiale, ma dai reperti pervenuti
dalle aree circostanti si può supporre che il sito sia stato antropizzato già in età preistorica. Il sito potrebbe essere stato utilizzato
come area per svolgere riti sacri e spirituali, e soprattutto come luogo per osservare il cielo. Una risposta certa a queste supposizioni può
darla solo uno studio archeologico ed archeoastronomico adeguato e
professionalmente mirato.
Il primo studioso che ha
intrapreso una ricerca in quest’area, anche se di massima, è il Prof. Gaetano Maurizio Pantano,
insegnante e storico di Montalbano
Elicona, il grazioso borgo medievale poco distante dall'altopiano rupestre.
Affascinato dalle innumerevoli strutture rocciose dislocate nell’intera zona
che circonda il paese di Montalbano, ed interpretate come segni tangibili di
un’antica e sconosciuta civiltà del passato, il Prof. Pantano ha studiato per
più un ventennio l’intera area, scoprendo interessanti siti preistorici. Parte
di queste ricerche sono confluite nell’ormai famoso saggio “Megaliti di Sicilia”, pubblicato nel
1994. Un altro studioso montalbanese che parallelamente ha svolto indagini di studio sul territorio abacenino è il Prof. Giuseppe Todaro, le cui teorie sono convogliate in diversi libri, tra cui "Alla ricerca di Abaceno", pubblicato nel 1992.
Pur avendo suggerito
numerose proposte di tutela e salvaguardia, l’area non fu soggetta in seguito
ad ulteriori studi. Intanto, negli anni a seguire, il pianoro dell’Argimusco
veniva scoperto da un crescente numero di appassionati della natura, semplici escursionisti
e curiosi viaggiatori.
E così molti anni dopo
le scoperte del Prof. Pantano, quasi per caso, nell’estate del 2004, il Dott. Andrea Orlando, astrofisico e cultore di antiche
civiltà, scoprì questo luogo unico, e da quel momento iniziò uno studio
scientifico sul misterioso pianoro, affascinato e rapito dalla bellezza delle
pietre ancestrali. Dopo anni di sopralluoghi, osservazioni e visite, lo
scienziato siciliano, dottore di ricerca in astrofisica nucleare e particellare, propone una collaborazione internazionale
per studiare l’Argimusco, alla luce delle teorie e dei risultati di prossima
pubblicazione.
Così a marzo 2012 è stato creato un gruppo di ricerca formato da circa 10 persone, un team multidisciplinare formato da specialisti in svariati ambiti di ricerca, provenienti da università sia italiane che straniere. Il sito web di riferimento è www.archeoastronomia.com, il portale dove viene presentato il progetto di ricerca e le collaborazione attivate, tra cui l’Università Ricardo Palma di Lima, con la prestigiosa partecipazione dell’archeoarchitetto Prof. Alfio Pinasco Carella, conosciuto a gennaio 2012, nel corso di un viaggio dello studioso peruviano nella Sicilia orientale. Tra i membri del team di ricerca c’è anche il grande fumettista siciliano Lelio Bonaccorso, che con i suoi disegni permette di ‘dare luce’ alle possibili scene di vita dei popoli indigeni che hanno vissuto nell'area dei megaliti.
Così a marzo 2012 è stato creato un gruppo di ricerca formato da circa 10 persone, un team multidisciplinare formato da specialisti in svariati ambiti di ricerca, provenienti da università sia italiane che straniere. Il sito web di riferimento è www.archeoastronomia.com, il portale dove viene presentato il progetto di ricerca e le collaborazione attivate, tra cui l’Università Ricardo Palma di Lima, con la prestigiosa partecipazione dell’archeoarchitetto Prof. Alfio Pinasco Carella, conosciuto a gennaio 2012, nel corso di un viaggio dello studioso peruviano nella Sicilia orientale. Tra i membri del team di ricerca c’è anche il grande fumettista siciliano Lelio Bonaccorso, che con i suoi disegni permette di ‘dare luce’ alle possibili scene di vita dei popoli indigeni che hanno vissuto nell'area dei megaliti.
Il progetto di studio
scientifico sull’Argimusco parte da alcune considerazioni tratte dai libri dei professori Pantano e Todaro, ai quali si deve anche la scelta di alcuni simpatici nomi
attribuiti alle pietre. Ed il team guidato dall’astrofisico etneo ha scelto
di continuare ad utilizzare alcuni di questi nomi per lo studio intrapreso.
Così giunti all’Argimusco ed entrando nel percorso di visita dell’area, si incontreranno
per prime due rocce naturali che sembrano formare ciò che resta di una grande porta.
Proprio di fronte a questa 'gigantesca porta', guardando verso Est, si possono osservare altre due grandi pietre, una delle quali assomiglia molto ad un mammut, e per questo viene simpaticamente chiamata Margy, nome che richiama il simpatico mammifero protagonista del cartoon Disney ”l’Era Glaciale’.
Proseguendo lungo il sentiero tracciato si incontra poi un affioramento roccioso molto frastagliato, dove, se osservato da vicino, avvicinandosi da Ovest, si potrà scorgere sul lato meridionale quello che sembra un vero e proprio volto di babbuino. Appena superato questo affioramento, volgendo lo sguardo all’indietro, si potrà scorgere invece un altro volto molto emblematico, una sorta di faccia umana oblunga, con l’occhio formato da un foro nella roccia, profilo che viene chiamato “il Guerriero” o “il Sacerdote”.
Proprio di fronte a questa 'gigantesca porta', guardando verso Est, si possono osservare altre due grandi pietre, una delle quali assomiglia molto ad un mammut, e per questo viene simpaticamente chiamata Margy, nome che richiama il simpatico mammifero protagonista del cartoon Disney ”l’Era Glaciale’.
Proseguendo lungo il sentiero tracciato si incontra poi un affioramento roccioso molto frastagliato, dove, se osservato da vicino, avvicinandosi da Ovest, si potrà scorgere sul lato meridionale quello che sembra un vero e proprio volto di babbuino. Appena superato questo affioramento, volgendo lo sguardo all’indietro, si potrà scorgere invece un altro volto molto emblematico, una sorta di faccia umana oblunga, con l’occhio formato da un foro nella roccia, profilo che viene chiamato “il Guerriero” o “il Sacerdote”.
Ed è proprio questo
affioramento roccioso molto frastagliato che è stato utilizzato dal Prof.
Pantano per i suoi studi sugli allineamenti astronomici, legati alle
osservazioni all’alba durante i solstizi e gli equinozi. Quest’area rocciosa
viene spesso denominata da Pantano come ‘il
Varco del Leone’, ed in effetti, se osservata da ovest ad una certa distanza,
sembra proprio di vedere la testa con la grande criniera tipica di un leone.
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Adorazione del Sole all'alba :: Disegno di Lelio Bonaccorso © archeoastronomia.com |
Poco più a nord della roccia dell’Aquila si entra nella cosiddetta area sacra. E’ sicuramente una delle zone più affascinanti di tutto
il pianoro, dove ci si trova immediatamente a contatto con l’imponenza della Grande Rupe, la roccia più grande e
maestosa dell’altipiano. Sul lato orientale della
Grande Rupe, se osservata da Sud, si può scorgere un’impressionante profilo di
uomo, da alcuni denominato ‘il Teschio’ mentre da altri ‘il Siculo’. Questo profilo è stato chiaramente creato dai processi
di erosione eolica, ed infatti tutta la grande roccia è caratterizzata da
cavità e striature tipiche dell’azione degli agenti atmosferici.
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Danze rituali all'ombra dell'Orante :: Disegno di Lelio Bonaccorso © archeoastronomia.com |
L’Orante volge lo
sguardo a settentrione, verso il mare e le isole Eolie. Anche questo suggestivo
profilo però perde la sua suggestiva forma non appena ci si avvicina ad esso, e
ponendosi proprio sotto l’alta figura androgina si possono osservare le varie
cavità create dal vento nel corso dei millenni.
In cima alla Rupe dell’Acqua,
proprio sopra il profilo dell’Orante, troviamo uno dei manufatti più misteriosi
dell’area: ‘la Vasca’. Questa cavità intagliata dall’uomo nell’arenaria, dalle
dimensioni rettangolari di circa 1,50 x 0,45 metri, viene definita dal Prof.
Pantano come una vasca per la raccolta dell’acqua, che sarebbe poi servita per
riti battesimali. Chiaramente non si sa bene a cosa servisse, le possibili
utilizzazioni sembrano essere le seguenti:
- vasca di raccolta delle acque piovane;
- tomba rupestre;
- fano di segnalazione;
- cavità per l’inserimento di un menhir.
Solo i prossimi studi sapranno
dare risposte più esatte, al momento restano tutte semplici ed affascinanti ipotesi.
Sempre sulla Rupe dell’Acqua è presente una sorta di trincea a forma di arco, una roccia alla quale si accede attraverso tre scalini intagliata nella pietra, e dalla quale si può avere una rapida visione d’insieme di tutta l’area, specialmente quella che culmina all’orizzonte sud con il massiccio dell’Etna. Al momento non sappiamo esattamente a cosa potesse servire tale trincea, sembra tuttavia ragionevole una valenza di vedetta e dunque di controllo dell’area meridionale.
Sempre sulla Rupe dell’Acqua è presente una sorta di trincea a forma di arco, una roccia alla quale si accede attraverso tre scalini intagliata nella pietra, e dalla quale si può avere una rapida visione d’insieme di tutta l’area, specialmente quella che culmina all’orizzonte sud con il massiccio dell’Etna. Al momento non sappiamo esattamente a cosa potesse servire tale trincea, sembra tuttavia ragionevole una valenza di vedetta e dunque di controllo dell’area meridionale.
Quasi adiacente alla trincea troviamo poi
la Rupe del Fuoco, dove si trova una
sorta di piano inclinato (30° circa rispetto al piano di calpestio) sul quale
si osservano dei piccoli incavi, ormai consumati dall’azione delle acque. E’
questo ‘il Santuario’. Probabilmente
in queste coppelle le genti indigene solevano riporre le loro offerte alla
Madre Terra, rappresentata dal profilo l’Orante, in segno di adorazione e devozione. E’ anche possibile che su questo piano
inclinato venissero riposti dei lumini, come rito cultuale o di preghiera verso
lo ‘sciamano’, inteso come uomo di medicina e di religione, seppellito probabilmente nella
tomba (?) presente alla sommità della Rupe dell’Acqua. Ancora oggi davanti la
famosa tomba nabatea di Petra, quella denominata ‘il Tesoro’, vengono spesso
accese centinaia di candele, evento che al giorno d’oggi viene certamente
creato come effetto scenografico e non come rito di culto.
Procedendo il nostro tour conoscitivo
dell’Argimusco incontriamo quello che Pantano chiama ‘il Tetraedro’, ovvero ‘la Pietra dei sette scalini’. La pietra sorge proprio sotto la
Rupe del Fuoco, in direzione Nord, ed è caratterizzata dalla presenza di sette
scalini intagliati nell’arenaria che permettono di
giungere alla sua sommità. E’molto probabile che la funzione di questa interessante roccia sia quello di osservatorio.
Dalla Pietra dei sette scalini inizia un
piccolo percorso, appena accennato tra le felci che ricoprono l’intera area,
che conduce verso Ovest. Lungo questo piccolo sentiero, costeggiando parte del
piccolo boschetto di castagni e querce, si giunge ad un grosso monolite di
granito, roccia estranea alle caratteristiche litologiche dell’area.
Proseguendo ancora lungo il sentiero tra le felci si arriva poi ad un megalite
che presenta lungo il lato sud una edicola
votiva con la parte superiore a forma di ogiva. Questo manufatto è molto
importante in quanto evidenzia che l’area è stata successivamente inserita in
una sorta di via santa e quindi
molto probabilmente legata alla cristianizzazione del luogo. Come spesso
avviene per le aree in cui in passato si sono svolti antichi riti di matrice
pagana, i cristiani hanno in seguito apportato sui manufatti diversi simboli di
Cristo, primo fra tutti il crocifisso.
Proseguendo infine verso Nord, si giunge
nella zona più settentrionale dell’altipiano, dove sono presenti altri
piani rocciosi inclinati ed una roccia fondamentale per l’osservazione
astronomica, quella denominato ‘Torre’
o ‘Grande Sedile’. Questa pietra, dalla forma quasi cubica, sorge in prossimità della linea Est-Ovest passante per l’altra grande rupe, la Rocca Novara o Rocca Salvatesta, che si staglia con la sua
inconfondibile forma sull’orizzonte Est.
La Torre quindi si configura come un osservatorio equinoziale, una roccia utilizzata per l’osservazione del sorgere del Sole, in modo da creare un vero e proprio calendario
utile alla svolgimento delle pratiche agricole e rituali. La Rocca Salvatesta, rupe simbolo
del sottostante borgo di Novara di Sicilia, fungeva infatti da indicatore
equinoziale, in modo che se durante il corso dell’anno il Sole veniva osservato
sorgere alla sua sinistra (a nord dell’est) l’indigeno capiva che si stava andando
incontro al periodo estivo, mentre se il Sole sorgeva alla destra della Rocca
(a sud dell’est) si andava verso la stagione invernale. I periodi in cui il
Sole sorgeva in prossimità della Rocca Novara coincidevano con gli equinozi. Facendo
uso dunque dell'astronomia
dell'orizzonte l’uomo antico poteva, con una certa precisione, conoscere
l’alternarsi delle stagioni e creare il proprio calendario astronomico.
Il sito dell’Argimusco
sembra dunque esser stato utilizzato come area sacra e di osservazione celeste,
in un periodo storico che potrebbe andare dalla fine dell’età del bronzo
(1500-1200 a.C.) fino al periodo medievale (1400 d.C.). Ultimamente sono stati
trovati reperti archeologici che dimostrerebbero tale frequentazione, soprattutto
in età medievale, periodo in cui numerosi personaggi hanno visitato l’area, come
per esempio il grande alchimista Arnaldo
da Villanova, ospite di Federico III di Aragona al Castello di Montalbano
Elicona nel XIV secolo.
E’ certo che ancora oggi il fascino che promanano queste rocce è enorme, e
l’area sulla quale insistono le Rocche dell’Argimusco si configura come una delle zone più belle dell’intero
bacino del Mediterraneo, un luogo dove da migliaia di anni gli uomini giungono
per contemplare la Natura, le Pietre ed il Cielo.
L’esperienza di vedere il cielo e le
sue stelle dal pianoro dell’Argimusco è unica ed indimenticabile, sembra
davvero di poter toccare l’immensità dell’universo e di respirare la mitica polvere di
stelle. Sono
ancora molti i misteri da svelare sull’Argimusco, ma uno studio scientifico
serio è stato già attivato e probabilmente già nel 2013 i primi risultati del
team archeoastronomico potranno già essere pubblicati e divulgati.
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